Diocesi di Como

Don Carlo Porro, un prete “moderno” … Vicario ad Albate dal 1957 al 1961!

È morto questa settimana all’età di 90 anni don Carlo Porro, uno dei vicari che più ha lasciato un segno profondo nei giovani dell’Oratorio di Albate (in quegli anni rigorosamente distinto in Oratorio Maschile e Oratorio Femminile).

Era giunto ad Albate nel lontano 1957, fresco di ordinazione e aveva portato nel suo primo incarico di sacerdote diocesano tutta l’immediatezza  e l’entusiasmo di una persona appassionata dei ragazzi e dei giovani.

Aveva trovato un oratorio da poco costruito (era stato inaugurato solo tre anni prima), con molte attività già presenti; valorizzando l’opera dei suoi predecessori ( don Lorenzo Stella e don Franco Bernasconi), vi aveva immesso subito la progettualità di farne una struttura viva, vissuta dai ragazzi, aperta tuttavia alla conoscenza e alla scoperta del territorio. Dalla realtà  degli scout, di cui fu a lungo l’amatissimo instancabile assistente, ha portato anche nel suo impegno parrocchiale la concretezza e la creatività di un approccio educativo che ha a cuore la crescita dei ragazzi attraverso l’esperienza attiva, la partecipazione responsabile, la capacità di decidere in autonomia, il riferimento a valori spirituali importanti. “Il suo obiettivo era, come ricorda Beppe Nessi, << realizzare un ritrovo cristiano per ragazzi e le loro famiglie, un ambiente ben organizzato, capace di attrarre e formare>>. Credo che l’attuale geografia esterna dell’Oratorio sia frutto di un suo studio: realizzare davanti alla costruzione un campo di calcio, un campo di bocce, uno spazio per la pallavolo, attività tutte che svolgeva egregiamente l’associazione Sandro Marelli e che lui volle sostenere fortemente. Studiò la messa a dimora di pioppi, poi sostituiti da tigli, per ottenere grandi zone d’ombra. Considerò sempre fondamentale la collaborazione delle famiglie e degli Albatesi, e volle creare sul bollettino l’”Angolo d’Oro” nel quale ricordava tutti i preziosi aiuti ricevuti nel migliorare l’Oratorio”.

Giunto ad Albate nell’ agosto  del 1957, già per il mese successivo aveva iniziato a progettare iniziative mensili a cui dava appuntamento dalle pagine di “Parva Favilla”, il bollettino parrocchiale. Fu quel primo mese di settembre, ancora libero dagli impegni scolastici [la scuola iniziava il 12 ottobre]  un mese fitto di incontri, che furono mantenuti e sviluppati in tutti i quattro anni in cui rimase come vicario da noi: raccoglieva e potenziava l’eredità  del Grest, il Gruppo Estivo, già realizzato da qualche anno. L’Oratorio era aperto tutti i giorni dalle 10.00 alle 12 e dalle 15.00 alle 18.00. Appuntamento costante era il  Giovedì dello Scolaro [il giovedì  allora non si andava a scuola] caratterizzato da una “passeggiata”, la cosiddetta carovana, inizialmente nel solo pomeriggio, poi estesa a tutta la giornata: a Monte Piatto, al Bisbino, al Bollettone, a Civiglio ( in visita al suo predecessore don Lorenzo Stella), a Galliano, al Monte Croce e più volte al Buco del Piombo,  dove accompagnava i ragazzi sino alla profondità raggiungibile (“500 metri al lume delle lanterne, nell’ultimo tratto si passava carponi”). “L’incontro con la natura era parte fondante del metodo educativo:” ricorda Piergiorgio Pedretti “quando si andava nei boschi eravamo stimolati a conoscere le piante, la forma delle foglie, gli insetti; così come l’imparare a gestirci in autonomia e a prenderci delle responsabilità: suddivisi in squadre, ciascuna con un bastone e  la classica bandierina  triangolare dei lupetti, dovevamo prepararci da mangiare da soli: lui poi passava ad assaggiare e decretava il livello di “cottura dei cibi” con un punteggio che andava ad aggiungersi a quelli conquistati dalla propria squadra. Avevamo imparato a costruire capanne, e a farci da noi giochi semplici, come per esempio dei fischietti ricavati dal legno dei frassini. Motto era imparare facendo, insomma una vera e propria scuola di concreta crescita personale e comunitaria”. Beppe, che da ragazzino aveva seguito da subito l’attività di don Carlo, sottolinea: “ogni attività era meticolosamente preparata e l’inseparabile fischietto del don le scandiva come un metronomo. La giornata iniziava con l’alza –bandiera dell’Italia, del Grest e delle squadre oratoriane preparate dalle mamme, seguita dalla preghiera alla cappella della Madonna e da un canto iniziale. Quindi ognuna delle squadre ( i lupi rossi, gialli, marroni, blu, verdi e neri) si raccoglieva nelle tende-basi; ogni ragazzo aveva un distintivo e doveva presentarsi all’ingresso munito di un “passaporto”, una scheda su cui era annotata la presenza giornaliera. Dopo il pranzo, consumato a casa,  ciascuno rientrava in Oratorio alle 14.00 per affrontare i tornei ( i punteggi attribuiti alle squadre avrebbero decretato la vittoria finale);  i vari giochi erano intervallati da momenti di lettura”.

A fine Grest la mostra dei lavori realizzati, dei fossili e dei minerali, dei calchi delle foglie, degli erbari, delle costruzioni di aeromodellismo erano motivo di grande soddisfazione per tutti i partecipanti ( e di invidia da parte delle ragazze che non ne avevano potuto godere….). Convinto che il gioco fosse palestra di crescita  don Carlo volle dotare l’oratorio di molti giochi da tavolo (la dama, il monopoli, il giro dell’oca), del flipper ( che scatenava combattutissime partite nelle quali doveva talvolta intervenire per sedare gli animi), e all’esterno dell’altalena a bilico e del mitico “passovolante”, una giostra, in cui  ci si muoveva con la gamba infilata in un anello dandosi spinte verso l’alto (“sembrava di volare, ma talvolta si rimediavano sbucciature dolorose, che era meglio nascondere ai genitori, perché saremmo stati sgridati” ricorda sempre Piergiorgio). Una geniale trovata fu far costruire all’ingresso dell’Oratorio, lato via Venusti, una “sabbionaia”, recinto di 6×4 metri nel quale a turno le squadre del Grest dovevano costruire circuiti per il gioco delle biglie. La creatività allora si sbizzarriva nel costruire stretti rettilinei, salite vertiginose, gallerie, curve paraboliche, che costituissero le difficoltà da far superare alle biglie nel rispetto delle regole. La versione più povera era la gara con i tappini della gazosa lungo il gradino dell’Oratorio. Sostenne efficacemente la polisportiva “Sandro Marelli” nel coinvolgere i ragazzi nelle varie attività sportive. Ricorda Peppino Bettina, che fu delegato per gli Aspiranti: “Da subito volle riunire gli Aspiranti ad una adunanza dopo la Messa domenicale del Fanciullo con lo scopo di  studiare assieme il programma della sezione Aspiranti per il periodo settembre-dicembre. Ai giovani fu dato uno spazio di incontro tutte le sere in un bar rinnovato dalle 20.30 alle 22.30 durante le quali potevano vedere la televisione (era stata introdotta da don Lorenzo) o organizzare tornei di pallavolo, calcio, ping pong, flipper, calcetto e tam tam. I più grandi avevano la responsabilità di guidare il gruppo dei più giovani.  Per la Festa dei Giovani, il 21 giugno in occasione della ricorrenza di S. Luigi, erano programmate gimkane, gare delle pignatte, corse di lentezza, ecc. in cui noi giovani ci impegnavamo con tutte le nostre forze.”                                                                             Altra attenzione era rivolta alla comunicazione e alla precisa verifica delle attività svolte, che venivano presentate e motivate.  Per ogni iniziativa incaricava qualche ragazzo di trasformarsi in giornalista scrivendo un articolo, intervistando i protagonisti e i presenti, corredandolo di foto.

L’impegno al catechismo fu uno dei suoi punti di base, nel quale cercò sempre la collaborazione vigile dei genitori;  fu rigoroso e nello stesso tempo attento ai percorsi di crescita dei bambini e dei ragazzi, per stimolare i quali erano proposti dei premi a fine anno. Il premio consisteva in abbonamenti annuali al Vittorioso, al Giornalino e a Jolly: per la diffusione di queste riviste gloriose e benemerite aveva organizzato un servizio efficace di distribuzione in tutto il paese gestito dagli stessi ragazzi.

Convinto che la Parola dovesse essere comunicata a misura di bambino proseguì e sostenne la Messa del Fanciullo, durante la quale li coinvolgeva con riflessioni alla loro portata.  Per la prima volta fece predisporre con il ciclostile ad alcol un libretto di canti apposito per i ragazzi, l’anno dopo prese esemplari già stampati,  invitando ciascun ragazzo  ad acquistarne uno per poterne avere una copia personale da portare in ogni cerimonia liturgica. Valorizzava i percorsi dell’Azione Cattolica, che considerava un mezzo straordinario per la formazione personale e religiosa dei ragazzi e dei giovani. Proseguì l’impegno nella proposta delle giornate di esercizi spirituali e promosse un coro dei giovani.

“Ricordo don Carlo come un prete decisamente moderno – racconta Beppe – perché  sapeva trasmettere ai ragazzi il suo Amore per la Chiesa, per la preghiera, per la catechesi, innestandolo nella loro vita quotidiana.”

Franca