Diocesi di Como

Se camminare non è ricrearsi ma inseguire un sogno di umanità

da Avvenire 06/11/2022 di Roberto Zanini

Camminare è una di quelle cose che portiamo incise nel Dna, anche per chi non è più in grado, anche per chi non lo è mai stato. Una cosa così spontanea che la si può fare in tanti modi, non soltanto con le gambe, ma anche con la fantasia, con lo spirito, leggendo di chi cammina, ascoltando chi ha camminato, scrivendo di cammino. Il primo passo del bambino segna, da centinaia di migliaia d’anni, il momento in cui si comincia a imparare a gestire in proprio la sopravvivenza. Su due gambe si osserva il mondo dall’angolo visuale proprio dell’essere umano, si entra in relazione, si pensa, ci si guarda dentro, si comprendono i cambiamenti, ci si può immergere nel silenzio o nella musica, si può parlare, si può condividere, ci si può confrontare. Camminare è così proprio dell’umano da identificarsi con la sua massima espressione: il sentimento della libertà, della porta aperta verso il futuro.

Questo piccolo libro di Antonio Moresco, un po’ autobiografico, un po’ narrativo e un po’ pamphlet interpreta a suo modo il senso ancestrale del cammino riuscendo a darne una lettura completa fino a identificarlo col significato stesso della vita: la singola vita e quella dell’intera umanità. Perché vivere è sempre e comunque un cammino: lo era ieri e lo è ancor di più oggi che ci troviamo a un crocevia fondamentale con tutte le incognite e le paure che nascono dalla possibilità di scegliere la strada sbagliata, dal rischio di proseguire su quella disastrosa su cui ci siamo incamminati o, anche peggio, dalla tentazione di sederci ad aspettare, magari guardando nostalgicamente al bel tempo che fu.

Non casualmente il librino di Moresco si intitola Il sogno del cammino. Pensieri per oltrepassare i nostri confini (Aboca, pagine 69, euro 12). Perché il vero camminatore conosce e soffre i confini (quelli interiori prima ancora degli altri) ma davanti a sé ha la porta sempre aperta e la sua ideale visione del mondo che attraverserà non conosce steccati. Ecco allora che Moresco nel raccontare la vicenda e il cuore di camminatore ormai avanti negli anni (è del 47) propone due opposte fasi della sua vita: i decenni in cui era per lui abitudine camminare nella notte per le strade di Milano, incrociando il suo personale e doloroso smarrimento con quello dei tanti che per svariati motivi preferiscono il buio alla luce del sole; gli anni più recenti della maturità in cui dopo aver di fatto utilizzato il cammino solitario come «rimedio ai mali del corpo e dell’anima», scopre che «camminare insieme» insegna a comprendere i problemi (nella normalità delle loro quotidiane e paradossali contraddizioni) e mette nella sincera, reciproca disponibilità a impegnarsi per la loro soluzione.

Camminare insieme aiuta a condividere la comprensione dell’inutilità dei confini: sia i confini che dilaniano il cuore, sia quelli che condizionano la vita politica e sociale dei popoli. Ma è, inoltre, il modo migliore per immergersi nella verità della natura e nell’urgenza di coltivare relazioni a misura d’uomo. Tutte cose che muovendosi convulsamente in macchina e ancor meno in aereo è difficile capire nella loro intima complessità.

Moresco non manca di raccontare anche le durezze e le asperità della sua esperienza e alla fine di questa lettura problematica, eppure rasserenante, viene facile pensare che se nel camminare sono racchiuse la storia dell’umanità e le sue aspirazioni, ci deve pur essere qualcosa di perverso in questo nostro mondo che ha declassato il cammino ad attività ludica e non strettamente necessaria. Riscoprirne l’essenza, comunque lo si intraprenda e secondo le personali abilità, può forse aiutare a individuare e capire le nostre radici, a metterci di fronte alla vita vera, riaprendo il cuore al sentimento di libertà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA